giovedì 3 novembre 2011

Fabio e Diana

Fabio credeva di essere solo, stava parlando ad alta voce, aveva bisogno di sfogarsi ma sapeva ormai da tempo che a nessuno interessavano i suoi pensieri.
Non era solo, molto vicino a lui c’era una persona, una persona molto speciale.
Fabio aveva poco più di quindici anni, si era da poco trasferito alla periferia di Bari.
Viveva in centro, prima.
Prima aveva una casetta nel centro storico di Bari, negozio sotto, quattro stanze sopra. Il papà si occupava del negozio, la mamma della casa, lui e suo fratello del quartiere…
Sì, era bello vivere a Bari vecchia, si poteva girare per le strade senza incontrare troppe auto, si passava da una casa all’altra senza i rimproveri dei genitori, ci si sentiva bene.
Ai ragazzi non interessava la crisi economica, la fatiscenza delle case, la delinquenza del mondo, a lui, a suo fratello e ai loro amici affascinava questo piccolo mondo di gente conosciuta, di vicoli e portoni amici, di allegria e soprattutto di gran divertimento.
Prima, la mamma cucinava piatti succulenti e profumati; prima, il papà riforniva il negozio con dedizione e senso degli affari. Prima.
Non si può mai sapere quanto poco basti per cambiare la vita alle persone.
Non era cattivo il papà di Fabio, era una brava persona, tutti dicevano che era una brava persona.
Ma Fabio, a volte, non ci credeva più.
Adesso si trovava qui in periferia, non c’era più nessuno. Suo fratello era salito al nord per studiare, lavorare e cercare di vivere meglio. Lui era lì, non c’erano vicoli, né stradine, né portoni, né vecchie e bellissime case bianche, né piccoli negozi pieni di ogni cosa.
La periferia delle grandi città può essere più o meno bella, magari in certe città hanno anche cercato di renderla vivibile, lui non sa. Qui lui non vive bene.
Cerca di stare lontano dagli altri per paura di finire male, così è solo e probabilmente finirà male comunque.
La mamma piange, sempre. Non cucina più, non pulisce quasi più, piange.
Il papà…beh! Il papà ha deciso di vendere tutto e comprarsi due stanze in periferia perché tanto i figli se ne andranno presto. Con quel poco che avanza ci campiamo per un po’ e poi si vedrà…
Fabio si chiede cosa aspetti suo padre a trovarsi un lavoro, lo sa che è difficile, tutti ne parlano, ma tanti lo trovano. Suo padre era bravissimo nel suo lavoro, tutti lo ammiravano.
Prima.

-         Ti confidi con il mare ? Anche per me è un buon amico.
-         Cosa ?
-         Scusa, non volevo disturbarti. Mi chiamo Diana.
-         Diana ? …Ah…Ciao…Fabio…

Diana…Chi sei Diana…il tuo nome parla di guerra ma i tuoi occhi parlano di pace…la tua bocca parla di serenità e i tuoi capelli sono così belli che mi sento male…

Prima.
Tutto può cambiare, in un attimo, Fabio l’ha imparato abbastanza presto, con la morte del nonno. Ma con la rapina al negozio si è reso conto che tutto può essere distrutto in un attimo.
Il padre non aveva una pistola, ma il ladro sì. Suo padre era bello, agile e atletico, molto sveglio e coraggioso. Questo era per lui suo padre. Prima.
Ha preso la pistola del ladro e gli ha sparato. E’ morto. E con lui una parte di suo padre, sicuramente di sua madre e un bel pezzo anche di lui e suo fratello e della loro vita, dei loro momenti felici, delle loro marachelle in giro per il quartiere; dei baci allegri che si scambiavano mamma e papà, che la nonna diventava rossa di rabbia quando li vedeva “Cosa vi viene in mente davanti a tutti !!!” Come si arrabbiava, e naturalmente mamma e papà si divertivano a vederla così impettita e si mettevano anche a danzare abbracciati per dimostrare quanto si amavano.
Suo padre si vergognava per quello che aveva fatto, si sentiva in colpa. Non fu condannato: legittima difesa.
Ma non poteva più vivere. Non riaprì il negozio per alcuni mesi, quando lo riaprì aveva perso molti clienti. Aveva trovato conforto solo nel bicchiere…di vino…Piangeva di nascosto, inizialmente beveva anche di nascosto ma poi non si nascose più. Non abbracciava più la mamma. E forse la mamma dentro di sé non riusciva a perdonarlo. Perdonarlo di cosa? Di aver difeso la sua vita e il suo negozio ? Fabio non condannava suo padre. Per lui era un eroe che aveva saputo difendere la sua roba, la sua vita e la sua famiglia. Ma il suo eroe si sgretolava giorno dopo giorno davanti ai suoi occhi. Non passarano molto tempo ancora in quella casa. Un anno dopo erano in periferia, per scappare agli occhi della gente più che alla crisi delle vendite, per scappare ai ricordi di una vita felice che non sarebbe più riuscito a far tornare.
Lui beveva, dormiva e piangeva.
Lei dormiva e piangeva.
Fabio non piangeva  e spesso non dormiva.
Voleva lavorare, ma i soldi per farti studiare ce li ho diceva suo padre. E lui andava a scuola. Che non significa studiare, che non significa avere un futuro.

Lei era lì seduta sul muretto con le gambe che dondolavano sull’acqua del mare…Probabilmente frequentava la sua scuola, pensò Fabio. Come non averla notata prima, si chiese.

Fabio non amava marinare la scuola, aveva paura della reazione del padre, da quando era in quello stato gli faceva paura. Passava le ore in classe spesso anche ascoltando la lezione, poi usciva, camminava e si sedeva davanti al mare e stava lì per qualche tempo a lanciare sassi, a pensare e anche a parlare ad alta voce. Poi se ne tornava a casa, fingeva di studiare, guardava un po’ di televisione, si preparava un panino con il formaggio e andava a letto.
Amici ? Capitava che prendesse l’autobus e arrivasse fino al centro per passare un po’ di tempo con i suoi amici, i suoi veri amici di un tempo. Ma si sa che a questa età è difficile mantenere le amicizie senza condividere tutto il tempo. Quindi si accorgeva di essere un intruso, o forse era lui che si sentiva come tale e le visite si facevano sempre più scarse.
Suo fratello gli telefonava spesso, un po’ lo incoraggiava e un po’ lo terrorizzava “Non dare confidenza a nessuno, cammina a testa bassa, non farti amici in quella zona. Studia, non farti bocciare, tra poco vieni su da me !”
Ma lui lì ci doveva vivere, non ne poteva più di camminare a testa bassa nel quartiere per non finire in brutti giri, a testa bassa a scuola per non rischiare di diventare amico di gente per bene, benestante che comunque non avrebbe potuto frequentare…Perché anche questo gli toccava sopportare “Ti mando in una buona scuola, perché voglio che tu abbia una buona istruzione, ma non farti amico di quei figli di papà, perché ti faresti solo del male, tu non puoi mantenere il loro stile di vita, ti tratterebbero come un pezzente !” Questo gli diceva suo padre.
E sua madre diceva solo “Vai in chiesa, Vai in chiesa” Ma in chiesa dove ? Non sapeva nemmeno dove fosse la chiesa e probabilmente anche se ne avesse trovata una lì vicina chi ci avrebbe trovato se non quattro vecchiette ? Non ci andava nemmeno lei in chiesa…
Suo fratello gli ripeteva sempre “Sei un bravo ragazzo, Fabio, sarai qualcuno vedrai. Sei forte !”
Era vero, era forte Fabio. Non aveva niente e non cercava niente. Questa era la sua forza. Aspettava.
Guardava il mare. “Sono uno sfigato!”

-         Sbaglio o frequentiamo lo stesso liceo ?
-         Non so…
-         Fai il classico al Margherita?
-         Sì.
-         Anche io: V ginnasio.
-         Ah!
-         Tu ?
-         Anche io.
-         Ma dai ? Che sezione ?
-         C.
-         Io D.
-         
-         Abiti qui a Bari ?
-         Sì.
-         Io no vengo da Triggiano.
-         Ah.
-         Oggi mi fermo perché sto aspettando mio padre che viene a prendermi altrimenti prendo l’autobus e torno subito a casa.
-         Certo.
-         Sono circa venti minuti.
-         Anche i miei.
-         Come ?
-         Eh sì, abito in periferia (almeno la smetti di rompere, sarai anche bella come il sole, ma smettila di parlare !!! Vedi come te la svigni se ti dico che abito in periferia)
-         Certo che ci metti tanto. Chissà perché invece di chiamarla periferia delle città non danno un altro nome, come se fosse un altro paese. Sarebbe meglio, ci sarebbe più senso di comunità, non credi ?
-         Mmh mmh
-         Ti rompo vero ?
-         No..No..
-         Lo so, parlo tanto, sai sono del segno dei Pesci, siamo molto sensibili e sognatori ma parliamo anche molto. Tu di che segno sei.
-         Non lo so.
-         Se mi dici quando sei nato te lo dico io.
-         Ottobre. Il 5.
-         Ah! Bilancia. E’ un bel segno. Equilibrato. Amante dell’aria aperta e della bellezza.
-         …(della bellezza di sicuro perché tra un po’ svengo e cado in mare se continui a guardarmi con quegli occhi).
-         Adesso arriva mio padre. Ti saluto. Spero di incontrarti ancora a scuola.
-         Ciao.

La prima impressione di Fabio alla vista di Diana era stata “Sono in Paradiso” ma poi la sua mente razionale (oppure equilibrata, come aveva detto lei) gliela aveva descritta come la ragazza super simpatica, gentile con tutti che parla solo per non stare zitta e tra due secondi si dimentica di te.
Lui certamente non l’avrebbe dimenticata.
Per passare il tempo prese l’autobus e si diresse in centro, aveva voglia di vedere i suoi amici…non doveva escludersi, erano l’unica ancora di salvezza.


Non aveva il motorino Fabio, tutti avevano il motorino, lui no. Figurati. Tutti avevano la playstation lui no, tutti avevano Sky lui no, tutti avevano l’ipod lui no.
Lui aveva una vecchia televisione ma non poteva quasi mai scegliere cosa guardare e una vecchio stereo ma pochissimi cd da ascoltare, si sintonizzava sulla radio, ma non è che ci fosse la possibilità di farlo spesso, perché in due stanze…
Saliva spesso con Marco, cioè ogni volta che andava a trovarlo, facevano un giro. A volte glielo faceva guidare, non aveva nemmeno il patentino. Ma se ne fregava. Erano gli unici momenti di divertimento. Avrebbe voluto scappare di casa e tornare a vivere lì, a casa di qualche amico, oppure avrebbe potuto chiedere ospitalità alla vecchia che viveva sola in fondo alla strada…o forse no.

Dove nasce questa storia.

mercoledì 19 ottobre 2011

25 - Vita sull'isola

Passò più di un anno in questa beata solitudine, rotta solo dagli inviti dei suoi compaesani a partecipare a qualcuno dei frequenti festeggiamenti o dalle simpatiche chiacchiere che accompagnavano le essenziali spese di cibo.
Marta era in forma smagliante. Si sentiva sana e leggera, aveva la mente sgombra da pensieri negativi e tanta energia che impegnava ogni giorno per quelle attività che le davano piacere e soddisfazione. Scriveva tantissimo, stava cercando di abbozzare un romanzo con l'aiuto di alcuni vocabolari. Dipingeva sempre più spesso e con maggior gusto. Inoltre era finalmente riuscita a padroneggiare la chitarra e spesso si trovava a cantare e a comporre qualche canzone. Era divertente anche portarla ogni tanto con sé durante le feste del villaggio, oppure sulla spiaggia dove la gente del posto suonava tamburi.
Per ricaricarsi faceva ogni giorno lunghe passeggiate e trovava pace ogni volta che si tuffava in quel mare cristallino. Non si annoiava mai. Ogni sera si coricava con il sorriso e ogni mattina si alzava vitale e piena di gioia per la giornata che l'attendeva.

L'amore aveva sempre occupato una parte importante della sua vita. Marta non nascondeva l'attrazione che aveva più volte provato per gli uomini della sua vita. Nonostante fosse spesso finita sulle pagine dei giornali per qualche presunto flirt, il più delle volte si trattava di innocue cene e gli uomini che aveva amato erano solo quelli che l'avevano poi fatta soffrire ed erano state veramente poche le avventure brevi e spensierate.
Durante quest'anno trascorso sull'isola non aveva avuto nessun uomo, non aveva nemmeno mai pensato di averne. Ed era la prima volta che apprezzava questa forma di solitudine.

Fino al giorno in cui aveva avuto bisogno di qualche intervento per riparare il tetto della sua casetta.

Chad viveva sull'isola da parecchie generazioni, viveva ancora in casa con la madre perché si occupava di lei che era molto malata. Marta l'aveva incontrato qualche volta mentre portava la madre a fare qualche acquisto in paese o alle feste. Per il resto del tempo Chad lavorava come tuttofare nel villaggio, veniva chiamato per tutti i lavoretti che richiedevano un po' di forza e fatica. La sua passione, nel tempo libero, era suonare i tamburi sulla spiaggia.
Chad era un ragazzo prestante, aveva sempre il sorriso e uno sguardo diretto e seducente, che confondeva.


lunedì 5 settembre 2011

24 - Solitudine

Un paese piccolo e sperduto in cui c'era tutto quello che serviva per vivere, con poco. Una casa piccola piccola in cui c'era abbastanza spazio per vivere, bene. Il mare davanti a sé, immenso, limpido e consolatorio.
La lunga spiaggia in cui passeggiare a lungo, la foresta di alberi per nascondersi e acquietarsi. Una chitarra per imparare a suonare, perché aveva sempre desiderato farlo ma non ne aveva mai avuto il tempo. Una penna e tanti fogli su cui scrivere. Alcuni romanzi da leggere e rileggere, con tante pagine e tante cose da raccontare. Una serie di pennelli e qualche tela per lasciare che a parlare siano i colori e che le emozioni si stemperino sul tessuto.
Nutrirsi con poco: tutto quello che proveniva dal villaggio e dai suoi dintorni.
Vestirsi con niente: ciò che veniva indossato la sera veniva lavato e al mattino era asciutto e pronto all'uso.
Non serviva la corrente: alla sera andava a dormire quando il buio si faceva scuro e al mattino si alzava con le prime luci. Vedeva ogni giorno l'alba.
Non utilizzava l'auto né altro mezzo di trasporto: tutto ciò che le serviva era raggiungibile a piedi e tutto ciò che desiderava stava davanti a lei (il mare) o appena dietro (la foresta). Tutti i sorrisi di cui aveva bisogno li incontrava ogni giorno per le strade del paese. 
La pace che la circondava scendeva piano piano anche dentro di lei, l'allegria della gente la contagiava lentamente.

Marta aveva iniziato una vita totalmente diversa da quella che aveva abbandonato. Le giornate lente le permettevano di assaporare ogni attimo, di godere della natura, di guardare davvero negli occhi le persone.

Marta si dedicava a tutto ciò che le piaceva fare e che da dieci anni non aveva più fatto. Amava il lavoro che aveva abbandonato ma a causa di questo non aveva più avuto il tempo di essere se stessa. Non aveva potuto coltivare le sue passioni: non leggeva libri da non so quanti anni, non aveva più passeggiato per il semplice piacere di farlo, si era fatta travolgere. Succede spesso che la vita si identifichi con il proprio lavoro, che si venga sempre riconosciuti con il proprio ruolo lavorativo, non più come persona.
Come quando sui giornali si legge la notizia della morte di qualcuno "cameriere viene investito...manager resta ferito..." Non più uomini, donne, persone...

Alla parola solitudine viene spesso attribuito un significato negativo, dietro a questo termine si nascondono sofferenza e paura. Per Marta, in questo periodo della sua vita, la solitudine era una compagna. Grazie alla decisione di lasciare tutto in modo così improvviso Marta aveva potuto uscire da un'altra delusione in modo diverso. Marta si piaceva. Aveva tempo di conoscersi, di stare con se stessa.
Si interrogava sul motivo di tanti insuccessi in amore ma lo faceva con un certo distacco, senza disperazione.
Trovava che la colpa fosse proprio di questo suo non conoscersi, di questo suo alienamento dalla vita reale che durava da più di dieci anni; da quando, a 19 anni, era stata catapultata in quel mondo nuovo e sconosciuto, non aveva più avuto una vita regolare, delle abitudini rassicuranti; cambiava continuamente casa, stato, continente; non c'erano punti di riferimento, persone che vedeva tutti i giorni. Da quasi 12 anni non aveva mai trascorso un anno nello stesso posto.
Questi pensieri non servivano a Marta per recriminare ma per capire che aveva scelto una vita al di sopra delle sue possibilità e più che decidere si era sempre fatta trascinare, o travolgere. Era come su un binario che correva ad alta velocità e non pensava nemmeno che avrebbe potuto scendere, qualche volta, e magari fare un pezzo di strada a piedi, per poter così ammirare il paesaggio e rendersi conto di ciò che le passava accanto.

Qui, in questo paese sperduto, in un angolo sperduto, di questa deliziosa isola, poteva finalmente fare tutto lentamente, assaporare, riscoprire il senso della parola vivere.


23 - Scomparsa

Qualche ricordo (principalmente fotografie e lettere), qualche libro e pochi vestiti: questo quello che Marta mise nella sua borsa, questo quello che portò sull'aereo.
Scomparsa.
La cercavano tutti e i giornalisti interrogavano continuamente amici e parenti per avere sue notizie.
Il telefono squillo per qualche giorno, finché si spense, probabilmente era stato abbandonato da qualche parte ed ora la batteria era scarica.
Un messaggio ai genitori "Starò bene, non preoccupatevi, mi metterò in contatto presto con voi", un messaggio al suo presumibilmente unico amico, George "Perdonami se ti abbandono con tutto il lavoro che c'è da fare...approfitto del fatto che lavorare ti piaccia così tanto e ti lascio anche la mia parte...Saprai capirmi? Lo spero con tutto il cuore. Ti voglio bene."

Non aveva preso le chiavi di casa, non aveva portato con sé nulla, nemmeno il computer. La scomparsa fu denunciata alla polizia che fece controllare anche il conto in banca: c'era stato un prelievo di una somma abbastanza alta ma non considerevole. Le ricerche si interruppero su richiesta dei genitori che avevano certamente ricevuto altre notizie confortanti ma che non vollero condividere con la stampa.
C'erano alcune questioni legali da risolvere per contratti non rispettati e di tutto questo si occupò George che pagò di tasca sua le varie penali. Inoltre si sobbarcò veramente tutto il lavoro che avevano programmato insieme, oltre alle questioni di beneficenza che stavano a cuore ad entrambi.
Ashton, dal canto suo, dopo qualche giorno di stupore e preoccupazione iniziò ad approfittare di questa scomparsa e dell'interesse che aveva suscitato nei mass-media e nel pubblico, fu un occasione per innalzare la propria popolarità e nel giro di qualche settimana l'aveva dimenticata ed era quasi sollevato per non aver dovuto guardarla in faccia e rompere la loro relazione.
Tornò presto tutto alla normalità: c'erano sempre nuovi amori da raccontare, attrici promettenti da presentare e film interessanti da recensire. Le pagine di giornali e i servizi televisivi che parlavano della scomparsa di questa amata attrice diventarono sempre meno, il pubblico si interessò presto ad altri argomenti. 



domenica 4 settembre 2011

22 - Da non credere

Un anno volò sereno e intenso. Marta era tornata sulla luna e avrebbe rinunciato a tutto pur di stare per sempre con Ashton.
Ashton la pensava diversamente. Era giovane e con una promettente carriera. Non era pronto ad impegnarsi o almeno non con Marta.
Questa volta però Marta si accorse che qualcosa non andava, ed era già un miglioramento, lo sentiva allontanarsi forse per la paura di stare troppo vicini. Essere così in sintonia lo spaventava perché sembrava togliergli indipendenza. Chissà perché sentiva di voler fare ancora molti errori prima di trovare la sua strada e quindi la donna giusta. Mentre Marta che aveva già molto pagato aveva bisogno di stabilità e certezze.
Un giorno Marta vide negli occhi di Ashton quella luce dannata che aveva già visto. Capì che era finita ma non se lo fece dire. Non aspetto che lui si inventasse qualcosa da dire o che si scusasse o che trovasse un altra per poterla lasciare.
Una notte restò sveglia per poterlo guardare, per sentirlo vicino per l'ultima volta. Fu difficile lasciare quel letto, fu straziante togliere lo sguardo dal suo viso ma non poteva sentire la parola fine. Non doveva assolutamente sentirla. 
Prese una borsa, ci mise poche cose e uscì di casa per non farci più ritorno.