lunedì 5 settembre 2011

24 - Solitudine

Un paese piccolo e sperduto in cui c'era tutto quello che serviva per vivere, con poco. Una casa piccola piccola in cui c'era abbastanza spazio per vivere, bene. Il mare davanti a sé, immenso, limpido e consolatorio.
La lunga spiaggia in cui passeggiare a lungo, la foresta di alberi per nascondersi e acquietarsi. Una chitarra per imparare a suonare, perché aveva sempre desiderato farlo ma non ne aveva mai avuto il tempo. Una penna e tanti fogli su cui scrivere. Alcuni romanzi da leggere e rileggere, con tante pagine e tante cose da raccontare. Una serie di pennelli e qualche tela per lasciare che a parlare siano i colori e che le emozioni si stemperino sul tessuto.
Nutrirsi con poco: tutto quello che proveniva dal villaggio e dai suoi dintorni.
Vestirsi con niente: ciò che veniva indossato la sera veniva lavato e al mattino era asciutto e pronto all'uso.
Non serviva la corrente: alla sera andava a dormire quando il buio si faceva scuro e al mattino si alzava con le prime luci. Vedeva ogni giorno l'alba.
Non utilizzava l'auto né altro mezzo di trasporto: tutto ciò che le serviva era raggiungibile a piedi e tutto ciò che desiderava stava davanti a lei (il mare) o appena dietro (la foresta). Tutti i sorrisi di cui aveva bisogno li incontrava ogni giorno per le strade del paese. 
La pace che la circondava scendeva piano piano anche dentro di lei, l'allegria della gente la contagiava lentamente.

Marta aveva iniziato una vita totalmente diversa da quella che aveva abbandonato. Le giornate lente le permettevano di assaporare ogni attimo, di godere della natura, di guardare davvero negli occhi le persone.

Marta si dedicava a tutto ciò che le piaceva fare e che da dieci anni non aveva più fatto. Amava il lavoro che aveva abbandonato ma a causa di questo non aveva più avuto il tempo di essere se stessa. Non aveva potuto coltivare le sue passioni: non leggeva libri da non so quanti anni, non aveva più passeggiato per il semplice piacere di farlo, si era fatta travolgere. Succede spesso che la vita si identifichi con il proprio lavoro, che si venga sempre riconosciuti con il proprio ruolo lavorativo, non più come persona.
Come quando sui giornali si legge la notizia della morte di qualcuno "cameriere viene investito...manager resta ferito..." Non più uomini, donne, persone...

Alla parola solitudine viene spesso attribuito un significato negativo, dietro a questo termine si nascondono sofferenza e paura. Per Marta, in questo periodo della sua vita, la solitudine era una compagna. Grazie alla decisione di lasciare tutto in modo così improvviso Marta aveva potuto uscire da un'altra delusione in modo diverso. Marta si piaceva. Aveva tempo di conoscersi, di stare con se stessa.
Si interrogava sul motivo di tanti insuccessi in amore ma lo faceva con un certo distacco, senza disperazione.
Trovava che la colpa fosse proprio di questo suo non conoscersi, di questo suo alienamento dalla vita reale che durava da più di dieci anni; da quando, a 19 anni, era stata catapultata in quel mondo nuovo e sconosciuto, non aveva più avuto una vita regolare, delle abitudini rassicuranti; cambiava continuamente casa, stato, continente; non c'erano punti di riferimento, persone che vedeva tutti i giorni. Da quasi 12 anni non aveva mai trascorso un anno nello stesso posto.
Questi pensieri non servivano a Marta per recriminare ma per capire che aveva scelto una vita al di sopra delle sue possibilità e più che decidere si era sempre fatta trascinare, o travolgere. Era come su un binario che correva ad alta velocità e non pensava nemmeno che avrebbe potuto scendere, qualche volta, e magari fare un pezzo di strada a piedi, per poter così ammirare il paesaggio e rendersi conto di ciò che le passava accanto.

Qui, in questo paese sperduto, in un angolo sperduto, di questa deliziosa isola, poteva finalmente fare tutto lentamente, assaporare, riscoprire il senso della parola vivere.


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